Metal Detector per tutti

Delusioni e pentimenti, Racconto breve, prima parte

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view post Posted on 4/1/2018, 22:45     +1   +1   -1
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Duca Bianco

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Non riusciva a chiudere occhio, quella notte, Carisio. Piangeva fra le lenzuola infeltrite, muovendosi freneticamente nella culla; tarlata e sbertucciata sugli spigoli, ma carica di quel torpore, dato da una leggera, flebile, bensì percepibile, emanazione di sicurezza e considerazione. Era appena nato da pochi giorni, ma già aveva imparato il miglior modo per ottenere qualcosa dal mondo, lamentarsi incessantemente, di continuo. Classe 1924. Lenin morì alcuni mesi prima della sua venuta al mondo, e il padre, fervente comunista, non si era mai disperato a tal punto che quasi scoppiò in lacrime, ma mai come quando vide la sua donna, con l'accenno del pancione. Erano poverissimi, così spiantati che pure le pulci del letto, di lana e fogliame di pannocchia, avevano sempre avuto una fame nera, quella fame che faceva gorgogliare lo stomaco di rumorosi assoli temporaleschi. Nell'aria fluttuava un pungente odore di cicoria bollita; c'era un silenzio infernale, in quella stanza scalcinata, intervallato, dai ritmati mugolii del pargoletto, per via di quell' appetito svizzero, che ricompariva ad ogni tocco d’orologio. Sarà per provvidenza divina o per una fortunosa predisposizione naturale, il seno della madre era straripante del nettare vitale: il latte, tanto caro ai neonati, che ricordandosi della sua dissetante bontà, non ne potranno fare a meno anche da adulti. Carisio, ancora inesperto ed a occhi semichiusi, si avvicinava titubante ma, al contempo, sicuro come un cane da tartufo, al capezzolo turgido e smunto, e mentre succhiava, riempiendo le guancine arrossate, un affetto primordiale unì i due corpi, in un legame apotropaico, come il culto della Madre Terra. Parevano Maria e il bambinetto Gesù, in quel dolce abbraccio d’umanità, così forti della loro condizione, di creatrice e creazione, oh povera creatura! Era già in lei, un’impalpabile soggezione, di sacrificio, di croce, di espiazione. E le 7 spade dolorose dell’impossibilità, di poter mettere anche solo la punta del piede, oltre l’uscio della vita del figlio, ormai affliggevano il cuore della madre, nel quale scorreva sangue e amore puro, misto ad una vena di immotivata sofferenza. A causa del presente difficoltoso, o del futuro incerto, sentiva opprimente l’impressione dell’incapacità di controllare, il frutto maturato nel suo grembo; e l'orgoglio del demiurgo si frantumava sotto la forza imprevedibile del destino. Il padre bussò alla porta scassata , con un sacchetto pieno zeppo di Marroni; non passò molto tempo che il fuoco già crepitava nel camino annerito, rilasciando un delizioso profumo, di castagne arrostite, che risvegliava l’acquolina. Carisio cresceva in insipienza, età e disgrazia. All’età di tredici anni, aveva ben ancorato tra le mani il suo primo moschetto, per lui, era più un giocattolo troppo pesante che una vera e propria arma ammazza bipedi; E quel fregio argentato della Gioventù del Littorio, spillato sul tessuto nero del fez , sbrilluccicava nel contrasto, sotto il sole mattutino, facendolo sentire importante, invincibile. L' amica di infanzia, carinissima, come un fiore appena sbocciato, lo adulava nella sua nuova uniforme , e Carisio, questo lo notava e camminava altezzoso, con petto gonfio e mento alzato. Ne era cotto al punto giusto, gli piaceva perché di una bellezza all'acqua di rose, pulita e sempre femminile nei gesti. Aveva una maliziosa attrazione per quelle forme, ancora acerbe, ma aggraziate, da addolcire, come una pera dura e verde, che deve diventar molle, per non legar la lingua. Le ricordava troppo la madre, morta di tubercolosi l'anno prima, e il rimembrar non lo aiutava a ricucire la ferita al costato, che ancora perdeva sangue ed acqua, macchiandogli il foulard da perfetto balilla. Era fiero nel portamento, ma si sforzava di non perdere l'equilibrio, sbilanciato da cotanto ferro a tracolla. Era Sabato, e queste parate avvenivano sempre più di frequente, perché tale aveva legiferato il Duce, ed era un guaio provare a contraddire le sue pretese Si intuiva dagli sguardi, dalle parole, che un qualcosa era imminente, qualcosa che avrebbe sconvolto il mondo intero; ma si pensava al presente e la gente era felice ( tuttavia affamata!). Soprattutto erano soddisfatte e tronfie le mamme, nel vedere i propri figli così disciplinati e, finalmente, responsabili. Carisio aveva continuato la sua carriera militare, indossando la camicia nera da avanguardista, per scelta volontaria e non per leva obbligatoria; Si disse si arruolò per fare una ripicca al padre, ma soprattutto, perché credeva davvero in quel nuovo ideale, tutto italiano, ne stimava il vigore, l'estetica, il cameratismo, la forza spavalda, la ribellione, la rivoluzione! Per creare dispiacere al padre, al quale dava la colpa di tutto e su cui riversava la collera rancorosa, Carisio non indossava mai vestiti rossi, perché conosceva molto bene il suo carattere simbolico e dogmatico : ammirava il nome Carlo, detestava Benito, gli piaceva il numero 21 odiava il 22, apprezzava Livorno, disprezzava la capitale e Littoria e Sabaudia e Pontinia. Anche il padre non si era mai perdonato della morte della moglie, stroncata da un male così subdolo e atroce; ed il tentativo fascista di ricerca , finanziato dalla “giornata delle due croci”, aveva solo accentuato sia il suo sprezzante ateismo, sia il suo pericoloso antifascismo. Carisio, dopo l'arruolamento ufficiale nella MVSN, era riuscito a raggiungere l’indipendenza economica dal padre, quindi, scappò di casa senza pensarci un secondo, aveva diciott’ anni. La guerra stava iniziando, e Carisio si recò a Firenze, in piazza della Signoria, per ascoltare la dichiarazione di Mussolini, perso completamente nei suoi pensieri, benché, quella voce metallica che usciva a mitraglia dall'altoparlante, gli mettesse sicurezza ma anche un pizzico di inquietudine. D’altronde, viveva in una caserma insieme agli altri camerati, percepiva uno stipendio militare, ma non aveva ancora i soldi per permettersi un viaggio in treno fino a Roma, per vedere lo spettacolo dal vivo. Fu un capolavoro d’oratoria, una liberazione di impeti, un coagulo di applausi: l'Italia entrava a gambe tese nel panorama della stupidità, dell’ignoranza e dell'odio mondiale, con gli scarponi di cartapesta. Intanto, il padre ascoltava il fatidico annuncio alla radio, ma tutto ciò non lo sfiorava minimamente, una stilettata indolore, perché, ormai, non era altro che un evanescenza, annichilito nella sua solitudine; pareva uno spettro nella penombra di quella dannata catapecchia; non sentiva neanche più l'odore di lei. In quelle quattro mura ammuffite, il suo naso paonazzo; sul tavolo, un cimitero di bottiglie, il silenzio rotto dal suo pronunciato singhiozzo. Ma, di tutto questo Carisio non era a conoscenza, perché era un disinteressato di natura, si poteva dire di lui ,che non avesse mai compiuto una buona azione, ma aveva comunque un carattere docile, rispetto ai suoi commilitoni e questa la diceva lunga sul caos di quei giorni. Quella stessa ressa che seguì l'8 settembre, quando la gente moriva senza accorgersene, assassinata come animali da macello, per mere supposizioni, per ripicche, per la malsana giustizia dell'uomo, che se ne infischia altamente di quella di Dio, ma che alla fine, dovrà renderne conto. In quel miasma di sangue, sudore, sofferenza, vergogna, il padre di Carisio venne ammazzato, abbattuto come un albero quando non fa frutto o perché nascendo storto, oscura le altre piante, ma il giardiniere si accorge troppo tardi, che esso aveva i fiori più belli del giardino. Il padre cadeva a terra con la testa fracassata, e nel suo ultimo gesto di lucidità, alzo il pugno chiuso, in segno di disprezzo, quanta ingenuità! Come era stato un uomo semplice fino all'ultimo, neanche di fronte alla morte, aveva compreso che in quella situazione non esisteva più alcunché di umano, di storico, di ideologico, ma pura brutalità ed insensatezza. Carisio, era impegnato in uno dei suoi soliti giretti di ricognizione, quando venne a saper di quella triste nuova, e d'un tratto gli cadde il mondo sotto i piedi, si sentiva atterrito, schiacciato dalla pressione del momento; non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere. Del resto, aveva iniziato ad odiarlo definitivamente, a non provarne più la mancanza, aveva cercato di dimenticarne i lineamenti, le movenze, i comportamenti. Appena si sentì un minimo riavere, corse verso casa come non aveva mai fatto durante gli addestramenti, a lunghi passi anche se le ginocchia tremavano, la testa scoppiava, le lacrime faticavano ad uscire: era ormai un uomo adulto e indottrinato. Mangiava la strada e si sentiva bambino, quando scappava dalla mamma ed il suo battipanni, e lanciava i sassolini del ghiaietto, nel rigagnolo. Rivedeva i cipressi ritti, che lui credeva felici, perché almeno tentavano di toccare il cielo. A capo chino, si guardava attentamente gli anfibi bucati , i pantaloni rattoppati, e l'energia della divisa si volatizzava; si accorse, in quell’istante ,che era stata l'unica sua certezza. Cos’era diventato? Aveva voglia di denudarsi, di bruciare quei vestiti nel fuoco del pentimento. Ma sempre più se li sentiva attaccati al corpo, con il sudore come collante, e tragicamente concepiva, che quei quattro stracci logori erano la sua infanzia, erano lui. Le tremende condizioni di quei panni, riflettevano la sua condizione di orfano, per sciagure, che eludevano da qualsiasi potere indicasse il distintivo cucito sulla spallina. Disperso nel labirinto delle sue considerazioni a posteriori, non si capacitava di essere già arrivato al gradino del postribolo, che quasi ci sbatteva il naso. Vide il corpo illuminato dalla massa di luce, entrante dall’unica piccola finestra, una natura morta dipinta con assoluta brutalità e partorita dal più folle dei pittori, abbandonato con indifferenza, una carogna da spolpare, in una posa snaturata, massacrato come la povera lepre, quando viene raggiunta dal levriero. Per un secondo ebbe anche il timore di avvicinarsi, poi subito, ma lentamente, appena raggiunto, cominciò a baciarlo e si macchiava di sangue le labbra, come Pietro baciò il corpo di Gesù, consapevole di averlo rinnegato e tradito. Fissava quei vitrei occhi spalancati, e ci pescava la cruda verità, in quel mare grigio e placido delle pupille. Recepiva il messaggio celato fra le rughe della rigida smorfia del misfatto, della sciagura. Carisio capì che non poteva passare avanti, aveva i conati, di fronte a quello squallore bestiale; intese che doveva vendicarsi, riscattarsi, obliare se stesso, rimodellarsi la faccia a suon di schiaffi. Strapparsi i capelli dalla disperazione avrebbe mutato il suo aspetto, ma non avrebbe reso il dolore men grave, allora fece ciò che gli pareva più sensato, cambiò casacca, dragò a fatica sull'altra sponda, divenne partigiano, e quando i compagni gli chiesero quale fosse il suo nome, lui rispose Iuliano. La vita militare tra gli imboscati, era estremamente diversa da quella dei fascisti con il colletto inamidato, i lacci della scarpe di ugual misura e i bottoni tutti al loro posto; gli diedero uno Springfield che sparava una volta si e un'altra no, e quando si inceppava era da scagliarlo via tranquillamente, e quelle bluse inglesi, ruvide, gli stavano strette e scomode; ma questo poco importava. La sua coscienza lo scongiurava di portare avanti una rivalsa, una rappresaglia contro i responsabili di cotanta infamia, di tale abominio, di quell'omicidio gratuito. Iuliano, nascosto fra i cespugli, mentre stava partecipando alla prima operazione di sabotaggio, si guardava la giacca e ne leggeva l'etichetta all'interno, diceva “London”; si immaginava quella città lontana, i suoi sobborghi e le periferie. Ma non era al corrente, che proprio in quel periodo, Londra non era il luogo ameno che lui si immaginava, ma era stata ridotta in macerie dai missili V2 tedeschi, che lasciavano dietro di se, fumo dissolto, centinaia di vittime civili innocenti. Però in quell'attimo, gli balenava in testa la cognizione di essersi svegliato nel paese sbagliato, l'Italia lo deprimeva e lo imbarazzava, tuttavia provava il sincero patriottismo, di chi cerca per la propria patria, libertà e pace. Non gli rimaneva molto tempo per divagare nei vani esercizi della mente, il vagabondare nei pensieri lo distraeva dall'agire. D’altra parte, preferiva non schierarsi mai in prima linea, e cercava sempre di rifugiarsi in retrovia. Si era ripromesso che non avrebbe mai tolto la vita ad un uomo, almeno non per il gusto di farlo, ma se fosse stato messo alle strette, avrebbe tagliato le catene all’istinto di sopravvivenza. Non era mai stato un esperto nell'arte della guerra, e questo lo dimostrò quando dovette scegliere, tra l'impedire l'avanzata dei camion porta viveri e munizioni diretti al fronte o semplicemente portare in parrocchia le offerte di beneficienza, raccolte tra le varie donazioni dei privati cittadini. Iuliano, accolse quest'ultima opportunità più che volentieri, anche perché era un occasione per varcare il portone della chiesa, dopo tanti anni trascorsi sul cammino della perdizione. E poi, l’ultima cosa a cui aspirava era morire invano, per una futile impresa di boicottaggio, che molto probabilmente avrebbe portato i nazisti a ripetere uno dei loro famose stragi di inermi paesani. Sul viottolo sterrato, per arrivare alla pieve, gli sovvenne un antipatico presentimento, e si chiedeva costantemente, perché gli avevano tenuto all’oscuro certi dettagli, per un comando più assimilabile ad un operazione di routine, che un vero scontro a mano armata; non lo convinceva l'andamento furtivo, gli sguardi bassi e il mutismo totale dei compagni di spedizione. Stava all'erta, con il dito sul grilletto, ma il fatto che i crucchi erano ormai passati e saliti verso nord, lo tranquillizzava non poco. Allora, si chiedeva come mai fosse così ansioso, perché lo struggeva quel sesto senso che solitamente preannuncia le calamità? Giunsero davanti alla facciata, e il roseo colore dei mattoni bruciati dalle secolari estati, lo riportava indietro nel tempo, naufragando dolcemente nelle memorie dei giorni passati. Carisio, si rivedeva bambino, a giocare nel giardino della chiesa con i suoi amici, quando si divertiva a far la lotta fra le tavolate all'aria aperta organizzate per propiziare il raccolto, durante la festa di Sant’Antonio Abate. Si immaginava il ragazzo che fu, nel fuggi fuggi domenicale per la predica noiosa del catechismo, a far l'amore nei campi, quando ancora c'erano i filari di grano dorato e non le voragini lunari delle bombe o quelle immense spianate per posizionare le tende degli accampamenti. Iuliano, si risvegliava d'un tratto, trascinato via dall’annegamento, per un sordo rumore di serratura scassata. I brigatisti entrarono a canne spianate, con un impeto che solo i vili e i deboli possiedono, quando la buona sorte gira dalla loro parte. Tre o quattro schioppettate a testa e collassarono come due sacchi di carne: il sacerdote e la perpetua, si proprio lei, l'amica di gioventù di cui Carisio si era assai invaghito da giovincello. Dopo lo scoppio della guerra, aveva deciso di prendere i voti, spinta più che da una vocazione dalla sua innata volontà di aiutare gli altri, i bisognosi, i malati e in quella circostanza, i feriti. Voleva essere una suora crocerossina, ma finì per fare la massaia del parroco, con la sola differenza che lo scopo filantropico, si era drasticamente ridotto dall' “ad omnes” all’ “ad personam”. Ma lei non contava di certo il numero dei beneficiari, l'importante era compiere il bene e nel migliore dei modi. Purtroppo, era, a sua insaputa, la domestica di un prete ingiustamente accusato di collaborare con i fascisti, e per questo senza il minimo straccio di prove, fu tolto di mezzo, perché ritenuto una seria minaccia all’integrità del nuovo ordine statale, e come la più temibile dei criminali e dei traditori fu anche lei eliminata, senza a alcuna distinzione. Si tentò, si osò, poi dire che c'era stato un errore e fu tutto un malinteso. E la piccola tomba di quella martire, con il nome lievemente inciso, morta casta e senza il giuramento, ma in concetto di santità, aspettò a lungo la giustizia, che mai sarebbe arrivata. Iuliano, intanto, assisteva inerme al sacrificio della vergine, quasi fosse un rito satanico, e la fissava immobile capitombolare sul duro e freddo marmo, senza lo spirito vitale, senza la tenacia e la prestanza esplosiva che tanto la distinguevano dalle allegre comari, sin dalla tenera età. La vita le aveva tirato un brutto tranello, si era presa gioco di lei, l'aveva sbeffeggiata fino all'ultimo. Carisio, rimase lì impietrito, a guardare l' amica contorcersi in una pozza di sangue, osservava il cangiar delle gote rosse in pallide vallate di ghiaccio. Un verme più che un uomo, senza spina dorsale, aveva permesso che ciò accadesse e senza riguardo, aveva trovato anche il coraggio di darsela a gambe. Sparì dalla circolazione, nessuno lo vide, neanche a guerra finita, si sentì parlare di lui. Era rimasto scottato dalla vita, da quell'alternarsi di delusioni e pentimenti che lo avevano obbligato al cambiamento, e di conseguenza, all'aberrazione. Aveva sopportato più di quanto si fosse mai immaginato di poter sopportare, non aveva retto il peso delle responsabilità, e stanco si era abbandonato alla tumultuosa corrente della disperazione, dalla quale non si sarebbe mai più ripreso. Non era scivolato nella tiepidezza degli ignavi, perché si era sempre e comunque schierato da una parte o dall'altra, a seconda delle evenienze, ma in tutto il resto aveva peccato. Il tempo riuscì, infine, a cancellare via tutto o quasi, perché aveva imparato dagli sbagli, e sulla sofferenza aveva costruito l’esperienza; ma il turbamento, covava il suo veleno all'interno del suo inconscio, non c'era notte in cui non sobbalzava dal letto per gli incubi, sempre che riuscisse a dormire. La marchiatura era indelebile, il segno calcato con forza sulla sua intera esistenza. Niente fu come prima. Nonostante ciò, si sentiva ormai un esperto dopo averle passate tutte, dopo essere stato Carisio, Iuliano, le sue manie di grandezza, o la più infima caricatura di un uomo, adesso non era più nessuno, e si sentiva proprio a suo agio. Si era completato, in qualche modo, aveva scoperto se stesso, si era allontanato da tutti e da ogni cosa, e non doveva dar conto a nessuno, né una spiegazione, né una frase intelligente che presupponesse qualcosa di sensato, nessuna convenzione e nessuna conformità a qualsiasi morale, o filosofia o credo che fosse. Libero come non mai. Il digiuno dal superfluo gli permetteva di raggiungere la completa padronanza della sua essenza. Riusciva a capire quando era il momento di fermarsi, lo leggeva nella parte più inaccessibile e profonda dell'anima; smetteva di parlare, e se ne stava in disparte, in solitudine, pensando così, di aver sbrigliato la matassa, di aver intuito in un attimo le molteplici sfaccettature della psiche. Ma quel suo modo passivo di gestire le situazioni gli opprimeva tuttora la coscienza, per la totale mancanza di azione, per il completo assoggettamento all’inezia. Si ricordava le parole di San Giacomo: «..senza le opere è morta», e di quando sfogliava solitario quel libro e compensava con il fuoco del camino, il calore affettuoso di una donna. E tutto questo, perché mediocre e banale, mai più!

Edited by Bowie - 14/11/2018, 22:57
 
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view post Posted on 7/1/2018, 16:20     +1   -1

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