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3 medagliette per 15 Santi

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view post Posted on 24/2/2015, 10:09     +6   +1   -1
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Spero di non stancarvi con questi mie post particolari....
Questa volta vorrei approfondire le medagliette che celebrano le tre Canonizzazioni di 5 Santi ognuna in 3 diversi anni del Secolo XVII: Anno 1622, 1671, 1690.
Più volte le abbiamo viste postare per identificazione, e spesso si confondono tra loro.


La prima medaglia raffigura la canonizzazione del 12/03/1622 celebrata da Papa Clemente XV, di S. Isidoro l’Agricoltore, S. Teresa di Gesù o D’Avila, S. Ignazio di Loyola,S. Francesco Saverio, S. Filippo Neri.



Isidoro l'Agricoltore, (in spagnolo Isidro), noto anche come Isidoro Agricola o Isidoro Lavoratore (Madrid, 1080 – Madrid, 15 maggio 1130), fu un agricoltore spagnolo a cui furono attribuiti eventi portentosi, e pertanto è stato canonizzato dalla Chiesa cattolica nel 1622.
Nasce in una Spagna che per buona parte è in mano araba, e nell’infanzia sente raccontare le gesta di tre grandi condottieri. Ecco Alfonso VI il Bravo, re di Castiglia e di León, che ha conquistato tante città. E poi Yusuf ibn Tashufin, capo della dinastia musulmana degli Almorávidi, che ha sconfitto Alfonso nel 1081 e ha incorporato i domìni arabi di Spagna nel suo impero nordafricano. Infine, c’è il condottiero dei condottieri, l’eroe nazionale Ruiz Díaz de Bivar detto il Cid, el que en buena çinxo espada (colui che in buon’ora cinse la spada).
Isidoro non ha spada né cavallo. Orfano del padre fin da piccolo, va poi a lavorare la terra sotto padrone, nelle campagne intorno a Madrid. A causa della guerra, cerca rifugio e lavoro più verso nord, a Torrelaguna. E vi trova anche moglie: Maria Toribia, contadina come lui.
Isidoro è un credente schietto. Partecipa ogni giorno alla Messa mattutina, e durante la giornata lo si vede spesso appartato in preghiera. Questo gli tira addosso le accuse di altri salariati: ha poca voglia di lavorare, perde tempo, sfrutta le nostre fatiche. È già accaduto agli inizi, nelle campagne di Madrid; poi continua a Torrelaguna, e più tardi a Madrid ancora, quando lui vi ritorna alla fine dei combattimenti. A queste accuse Isidoro non si ribella, ma neppure si piega. Il padrone è preoccupato, non si fida di lui? E allora sorvegli, controlli, verifichi i risultati del suo lavoro... E questo fa appunto il padrone, scoprendo che Isidoro ha sì perso tempo inginocchiandosi ogni tanto a pregare, ma che alla sera aveva mietuto la stessa quantità di grano degli altri. E così al tempo dell’aratura: tanta orazione pure lì, ma a fine giornata tutta la sua parte di terra era dissodata.
Juan de Vargas si chiama questo proprietario, che dapprima tiene d’occhio Isidoro con diffidenza; ma alla fine, toccata con mano la sua onestà, arriva a dire che quei risultati non si spiegano solo con la capacità di lavoro; ci sono anche degli interventi soprannaturali: avvengono miracoli, insomma, sulle sue terre.
E altri diffondono via via la voce: in tempo di mietitura, il grano raccolto da Isidoro veniva prodigiosamente moltiplicato. Durante l’aratura, mentre lui pregava in ginocchio, gli angeli lavoravano al posto suo con l’aratro e con i buoi. Così il bracciante malvisto diventa l’uomo di fiducia del padrone, porta a casa più soldi e li divide tra i poveri. Né lui né sua moglie cambiano vita: è intorno a loro e grazie a loro che la povera gente incomincia a vivere un po’meglio. Nel tempo delle epiche gesta di tanti conquistatori, le imprese di Isidoro sono queste, fino alla morte.
A volte certi suoi atti fanno pensare a Francesco d’Assisi. Per esempio, quando d’inverno si preoccupa per gli uccelli affamati: e per loro, andando al mulino con un sacco di grano, ne sparge i chicchi a grandi manciate sulla neve; ma quando arriva al mulino, il sacco è di nuovo prodigiosamente pieno.
Lavorare, pregare, donare: le sue gesta sono tutte qui, e dopo la morte lo rendono famoso come Alfonso il Bravo e come il Cid. Nel 1170 il suo corpo viene deposto nella chiesa madrilena di Sant’Andrea, e col tempo la sua fama si divulga in Spagna, nelle colonie spagnole d’America e in alcune regioni del Nord europa. Nel 1622, Isidoro l’Agricoltore viene canonizzato da Gregorio XV (con Ignazio di Loyola e Francesco Saverio). Nel 1697 papa Innocenzo XII proclama beata sua moglie Maria Toribia. Le reliquie di sant’Isidoro si trovano ora nella cattedrale di Madrid.
Sant'Isidoro è festeggiato il 15 maggio ed è particolarmente venerato in Spagna, Sardegna e nei paesi sudamericani.
Patrono di: contadini, raccolti, campi e di alcune città spagnole e italiane.


Teresa di Gesù, o d'Ávila, al secolo Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada (Ávila, 28 marzo 1515 – Alba de Tormes, 15 ottobre 1582), è stata una religiosa e mistica spagnola.
Entrata nel Carmelo di Ávila a vent'anni, fuggita di casa, dopo un travagliato percorso interiore che la condusse a quella che definì in seguito la sua "conversione" (a trentanove anni), divenne una delle figure più importanti della Riforma cattolica grazie alla sua attività di scrittrice e riformatrice delle monache e dei frati Carmelitani Scalzi, e grazie alla fondazione di monasteri in diversi luoghi di Spagna, e anche oltre (prima della sua morte venne fondato un monastero di Scalzi a Lisbona). Morì ad Alba de Tormes nel 1582 durante uno dei suoi viaggi.
Fu autrice di diversi testi nei quali presenta la sua dottrina mistico-spirituale e i fondamenti e le origini del suo ideale di Riforma dell'Ordine carmelitano. La sua opera maggiormente celebre è "Il castello interiore" (intitolato anche "Mansioni"), itinerario dell'anima alla ricerca di Dio attraverso sette particolari passaggi di elevazione, affiancata dal "Cammino di perfezione", e dalle "Fondazioni" nonché da molte massime, poesie e preghiere, alcune delle quali particolarmente celebri[1].
Proclamata beata nel 1610 e poi santa da papa Gregorio XV nel 1622, fu annoverata tra i dottori della Chiesa nel 1970 da Paolo VI, insieme a Caterina da Siena.


Ignazio di Loyola, in basco Íñigo López Loiola (Azpeitia, 24 dicembre 1491 – Roma, 31 luglio 1556), è stato un religioso spagnolo, fu il fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti): nel 1622 è stato proclamato santo da papa Gregorio XV.
Don Inigo Lopez, questo il suo nome di battesimo, nacque a Loyola intorno al 1491, membro della numerosa famiglia (ben tredici figli) di Don Beltran Yanez e Donna Marina Saenz. Il padre era stato soldato al servizio di Enrico IV, dei Re cattolici e di Giovanni II; al fianco di Fernando il Cattolico guidò l’assedio contro la città di Toro, Burgos, Loja (conquistata il 29 maggio 1486) e Vélez-Málaga. La madre era figlia del dottor Don Martin Garcia de Licona, figura di alto lignaggio, cortigiano dei re di Castiglia e consigliere dei Re cattolici. In quanto agli altri figli sappiamo fossero otto maschi e cinque femmine, di cui Inigo fu il minore.
In quanto a Inigo non conosciamo il giorno preciso della nascita, secondo una tradizione di dubbia storicità il 1º giugno, del 1491, battezzato nella chiesa parrocchiale di Azpeitia ricevette al fonte battesimale il nome di Inigo e il patronimico Lopez prima del cognome paterno, secondo l’usanza tradizionale. Sarà durante gli studi a Parigi che egli mutò il suo nome in Ignatius, probabilmente per la sua speciale devozione verso sant’Ignazio di Antiochia. Svezzato da una nutrice nel casolare di Eguibar, vicino Loyola, crebbe sotto le attenzioni del fratello Don Martin e della cognata Donna Magdalena, nonostante l’educazione non si applicò mai troppo agli studi preferendo divertimenti quali il ballo, amava molto partecipare alle danze popolari, e il canto. Intorno al 1506, perché avesse una formazione cortigiana, venne inviato dal fratello ad Arévalo, presso il ministro delle finanze del regno, il potente Juan Velazquez, la cui sposa donna Maria de Velasco era parente della defunta madre.
Al fianco del protettore Inigo conobbe la corte reale e i grandi del regno, spesso la regina Germana de Foix, nipote di Luigi XII di Francia, e seconda moglie di Fernando il Cattolico, partecipò ai banchetti organizzati in suo onore dall’amica Maria de Velasco ai quali senz’altro partecipò anche il giovane paggio de Loyola. Egli rimase in casa del Velazquez per undici anni, fino al 1517 trascorrendo una vita agiata, dedita ai banchetti, alla musica, alla lettura di romanzi cavallereschi e alla composizione poetica. Il focoso giovane venne perfino processato insieme al fratello Pero Lopez per un fatto a noi oggi sconosciuto. Con la morte del re Fernando la situazione della famiglia Velazquez precipitò in breve tempo. La regina Germana sollecitò il nuovo re, Carlo I, a concedergli le cittadine di Arevalo e Olmedo, proprietà del ministro delle finanze.
Quest’ultimo, ritenendo tale decisione un sopruso e una violazione dei suoi diritti, si ribellò al re difendendo la sua città, una ribellione che durò parecchi mesi. Ma risultò vana. Juan Velazquez perse tutto, caduto in sfavore e rattristato per la morte del primogenito Gutierre si ritirò a Madrid dove morì qualche mese dopo, il 12 agosto 1517, mentre la moglie Maria passò al servizio dell’ormai reclusa Giovanna la Pazza, madre di Carlo, e della figlia di questa Caterina. Aveva ventisei anni Inigo quando, abbandonata la famiglia Velazquez caduta in disgrazia, fatto che peraltro lo turbò notevolmente dato l’affetto che lo legava al suo patrono, raggiunse il palazzo di don Antonio Manrique de Lara, duca di Najera e viceré di Navarra, per passare al suo servizio.
Questi aveva la sua residenza ordinaria a Pamplona, è lì che Inigo si diresse per trascorrervi non meno di tre anni durante i quali, nella cerchia dei gentiluomini al servizio di don Manrique, ebbe l’onore di assistere allo sbarco della nave che conduceva in Spagna il nuovo re Carlo I, il futuro Carlo V allora appena diciassettenne. Alla partenza di questi per la Germania, dove lo attendeva la corona dell’impero, si diffusero moti di ribellione per le città ispaniche, irritate dalla precedenza che il re aveva dato al trono germanico a scapito di quello spagnolo, lasciandovi come suoi rappresentati alti funzionari fiamminghi, invisi al popolo e alla nobiltà. Antonio Manrique, fedele al re, fu uno dei condottieri che diedero battaglia ai rivoltosi a fianco dei propri figli e dello stesso Inigio, che aveva prestato la sua spada al patrono. È certo che con questi egli sostenne e vinse l’assedio alla città ribelle di Najera. Don Manrique ebbe anche una missione speciale per il fedele Inigo: pacificare la provincia di Guipúzcoa. Missione che egli risolse nel migliore dei modi.
Ma un incarico ben più arduo attendeva Inigo: la fortezza di Pamplona era in pericolo e presto sarebbe crollata. Non solo i nemici di don Manrique minacciavano la cittadina ma lo stesso re francese Francesco I, il quale, approfittando della situazione, progettò il suo attacco contro la Navarra. La fortezza era priva di forze militari perché il duca se n’era privato per soccorrere il suo sovrano. Enrico d’Albret, pretendente al trono di Navarra, appoggiato da Francesco I, piombava sulla fortezza sotto il comando di Andres de Foix con ben dodicimila soldati di fanteria, ottocento lancieri e ventinove pezzi di artiglieria. A Pamplona non era rimasto che un piccolo esercito di un migliaio di soldati, sotto gli ordini di don Pedro de Beamonte, celermente sostenuto dall’arrivo inaspettato delle milizie comandate da Inigo e suo fratello Martin.
La situazione si aggravò per conflitto degli stessi condottieri: Martin, che voleva il comando delle truppe, di fronte al rifiuto del Beamonte, decise di ritirarsi col grosso delle sue truppe, lasciando in tal modo il fratello con pochi soldati. Il 19 maggio la città cadde in mano al nemico, Inigo e i suoi rimasero a difendere l’ultimo baluardo di Pamplona, rifiutando le condizioni poste da Andres de Foix per la loro resa. Il giorno dopo fu adoperata l’artiglieria pesante e durante i bombardamenti un tiro colpì in pieno la gamba destra di Inigo rompendogliela in più parti. Il comandante e i suoi soldati si arresero dopo sei ore di assedio. I francesi, e particolarmente il generale nemico, che aveva già precedentemente manifestato stima nei confronti dell’avversario gli risparmiò la vita e ordinò che se ne prendessero cura, come Ignazio stesso raccontò in seguito nella sua autobiografia.
Dopo quindici giorni di degenza a Pamplona venne trasportato in barella alla casa paterna. Il suo stato era grave e più volte si temette per la sua vita. Solo dopo dolorosissime operazioni e atroci sofferenze egli poté ristabilirsi pur non potendosi reggere bene sulla gamba, a causa della quale dovette zoppicare per il resto della vita. In quei giorni fu costretto a un’esasperante immobilità, rimase a letto leggendo. Gli vennero dati la Vita Christi, del certosino Landolfo di Sassonia e il Flos sanctourm, le celebri vite dei santi composte dal domenicano Jacopo da Varazze. “Quando pensava alle cose del mondo, provava molto piacere, ma quando stanco le lasciava si trovava vuoto e scontento. Quando pensava di andare a Gerusalemme scalzo, di mangiare solo erbe e di fare tutte le altre cose dure che vedeva che avevano fatto i santi, non solo si consolava quando vi stava pensando ma anche dopo aver lasciato questi pensieri restava contento e allegro”. In lui qualcosa andava mutando, cominciava il suo processo di conversione religiosa. Cominciava pian piano a spendere il tempo nella preghiera, nella lettura di testi sacri, nella meditazione durante il suo periodo di degenza, cominciando a trascrivere alcuni appunti che in seguito avrebbero dato vita ai suoi esercizi. Sognava di partire pellegrino per Gerusalemme e per realizzare tale desiderio, una volta ristabilito, si decise di partire pellegrino per i santuari mariani della Spagna, con una particolare sosta presso il celebre santuario di Montserrat.
Si recò in Terra santa. Dopo poco tempo fu costretto a rientrare in Spagna.
In quel periodo elaborò, in prima persona, il suo metodo di preghiera e contemplazione, basato sul "discernimento". Queste esperienze hanno in realtà origine da un passaggio della Seconda lettera ai Corinzi di Paolo di Tarso . Essi descrivono una serie di meditazioni a cui, poi, dovranno attenersi i futuri gesuiti. Quest'opera ha influenzato profondamente i successivi metodi di evangelizzazione della Chiesa cattolica. Ebbe anche l'occasione di visitare il Monastero benedettino di Montserrat il 25 marzo 1522, dove appese i suoi paramenti militari davanti a un'immagine della Vergine Maria, in una vera e propria veglia militare dedicata alla Madonna. Entrò nel monastero di Manresa, in Catalogna, dove praticò un severissimo ascetismo. La Vergine divenne l'oggetto della sua devozione cavalleresca: l'immaginario militare giocò sempre una parte importante nella sua vita e nelle sue contemplazioni religiose.
Nel 1528 si iscrisse all'Università di Parigi, dove rimase sette anni, ampliando la sua cultura letteraria e teologica, e cercando di interessare gli altri studenti agli "Esercizi spirituali".
Entro il 1534 ebbe sei "seguaci" - Pierre Favre (francese), Francesco Saverio, Diego Laínez, Alfonso Salmerón, Nicolás Bobadilla (spagnoli), e Simão Rodrigues (portoghese).
La fondazione della Compagnia di Gesù
Il 15 agosto del 1534, Ignazio e gli altri sei studenti si incontrarono a Montmartre, vicino Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà e castità e fondando la Compagnia di Gesù, allo scopo di eseguire lavoro missionario e di ospitalità a Gerusalemme o andare incondizionatamente in qualsiasi luogo il Papa avesse ordinato loro.
Nel 1537 essi si recarono in Italia in cerca dell'approvazione papale per il loro ordine religioso. Papa Paolo III li lodò e consentì loro di essere ordinati sacerdoti. Essi vennero ordinati a Venezia dal vescovo di Arbe (ora Rab, in Croazia) il 24 giugno. Si dedicarono alla preghiera e ai lavori di carità in Italia, anche perché il nuovo conflitto tra l'imperatore, Venezia, il Papa e l'Impero Ottomano rendeva impossibile qualsiasi viaggio a Gerusalemme.
Con Faber e Lainez, Ignazio si diresse a Roma nell'ottobre del 1538, per far approvare dal Papa la costituzione del nuovo ordine. Una congregazione di cardinali si dimostrò favorevole al testo preparato da Ignazio e papa Paolo III confermò l'ordine con la bolla papale Regimini militantis ecclesiae (27 settembre 1540), ma limitò il numero dei suoi membri a sessanta. Questa limitazione venne rimossa con una successiva bolla, la Iniunctum nobis, del 14 marzo 1543. L'ultima e definitiva approvazione della Compagnia di Gesù è stata data nel 1550 con la bolla Exposcit debitum di Giulio III.
Ignazio venne scelto come primo preposito generale della Compagnia di Gesù. Inviò i suoi compagni come missionari in giro per tutto il mondo per creare scuole, istituti, collegi e seminari.
Nel 1548 vennero stampati per la prima volta gli Esercizi spirituali, per i quali venne condotto davanti al tribunale dell'Inquisizione, per poi essere rilasciato.
Sempre nel 1548, Ignazio fondò a Messina il primo Collegio dei Gesuiti al mondo, il famoso Primum ac Prototypum Collegium ovvero Messanense Collegium Prototypum Societatis, primo e, quindi, prototipo di tutti gli altri collegi di insegnamento che i gesuiti fonderanno con successo nel mondo facendo dell'insegnamento la marca distintiva dell'ordine.
Ignazio scrisse le Costituzioni gesuite, adottate nel 1554, che creavano un'organizzazione monarchica e spingevano per un'abnegazione e un'obbedienza assoluta al Papa e ai superiori (perinde ac cadaver, "[lasciati guidare] come un cadavere" scrisse Ignazio). La regola di Ignazio diventò il motto non ufficiale dei gesuiti: Ad Maiorem Dei Gloriam.
I gesuiti hanno dato un apporto determinante al successo della Controriforma.
Tra il 1553 e il 1555, Ignazio dettò al suo segretario, padre Gonçalves da Câmara, la storia della sua vita. Questa autobiografia, essenziale per la comprensione dei suoi Esercizi spirituali, rimase però segreta per oltre 150 anni negli archivi dell'ordine, fino a che il testo non venne pubblicato negli Acta Sanctorum.
Morì a Roma nel 1556 e venne canonizzato il 12 marzo 1622. Il 23 luglio 1637 il suo corpo fu collocato in un'urna di bronzo dorato, nella Cappella di Sant'Ignazio della Chiesa del Gesù in Roma. La statua del Santo, in argento, è opera di Pierre Legros. La festa religiosa viene celebrata il 31 luglio, giorno della sua morte.


Francisco de Jasso Azpilcueta Atondo y Aznares de Javier, comunemente noto con il nome italianizzato in Francesco Saverio (Javier, 7 aprile 1506 – isola di Sancian, 3 dicembre 1552), è stato un gesuita e missionario spagnolo, proclamato santo nel 1622 da papa Gregorio XV; il suo culto è ammesso anche dalla Chiesa anglicana.
Biografia
Era nato in una famiglia nobile di Javier (in Navarra) nel 1505. I beni della famiglia erano stati confiscati da Ferdinando il Cattolico dopo la vittoria sugli autonomisti navarrini filofrancesi. Per sfuggire alla sconfitta e alla miseria si rifugiò quindi in Francia, e andò a studiare teologia alla Sorbona dove, dopo il primo triennio, divenne Magister.
Nel suo stesso collegio di Santa Barbara arrivò Ignazio di Loyola che ne riconobbe immediatamente il temperamento combattivo ed ardente e decise di conquistarlo alla propria causa. Nello stesso collegio studiava anche Pierre Favre (1506-1546). Con Javier e Favre Ignazio fece i primi voti da cui sarebbe poi nata la Compagnia di Gesù, nella chiesa di Saint Pierre di Montmartre, il 15 agosto 1534. I voti erano: povertà, castità, e pellegrinaggio in Terrasanta; se non fossero riusciti a partire sarebbero andati a Roma per mettersi a disposizione del Papa.
Non riuscendo a partire da Venezia, i nuovi gesuiti cominciarono con l'adempiere l'ultima parte dell'impegno, e papa Paolo III finanziò il loro viaggio. A Roma Francesco Saverio fu ordinato sacerdote nel 1537, e qui i primi gesuiti aggiunsero ai tre voti tradizionali di povertà, castità e obbedienza, il quarto e distintivo: l'obbedienza al papa. Nel 1540, Giovanni III del Portogallo chiese a Papa Paolo III di inviare missionari ad evangelizzare i popoli delle nuove colonie nelle Indie orientali.
Francisco Javier, indicato da Ignazio, partì nel marzo del 1541. Per le Indie si partiva da Lisbona, e il viaggio del nuovo missionario durò più di un anno: arrivò a Goa nel maggio dell'anno successivo, spingendosi poi fino a Taiwan. La tradizione vuole che egli abbia portato la propria attività missionaria fino alle Filippine, ma di questo viaggio mancano tracce documentali.
Nel 1545 partì per Malacca, in Malaysia, dove incontrò alcuni giapponesi che gli diedero l'idea di estendere l'evangelizzazione al Giappone (agosto 1549). Ammalatosi durante il viaggio da Malacca all'isola di Sancian, morì nel 1552.
Il culto
Fu sepolto nella chiesa dei Gesuiti di Goa, ma il suo braccio destro fu inviato a Roma, dove si conserva, dal 1614, in un reliquiario della Chiesa del Gesù, chiesa madre dell'ordine.
Altre parti del corpo del santo sono state asportate nel corso del tempo ad opera di fedeli interessati al possesso delle reliquie.
Fu canonizzato insieme con Ignazio di Loyola da papa Gregorio XV, il 12 marzo 1622, ma la morte di quest'ultimo impedì che la bolla papale fosse promulgata prima del 1623.
La Chiesa cattolica ne celebra la festa liturgica il 3 dicembre e lo considera patrono delle missioni.


San Filippo Neri (Firenze, 21 luglio 1515 – Roma, 26 maggio 1595) è stato un sacerdote italiano. Fiorentino d'origine, si trasferì, ancora molto giovane, a Roma, dove decise di dedicarsi alla propria missione evangelica in una città corrotta e pericolosa, tanto da ricevere l'appellativo di "secondo apostolo di Roma".
Radunò attorno a sé un nutrito gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire, cantando e giocando, in quello che sarebbe, in seguito, divenuto l'Oratorio, ritenuto e proclamato come vera e propria congregazione da papa Gregorio XIII nel 1575.
Memorabili furono i suoi detti sarcastici, quali, ad esempio, State buoni se potete.
Per il suo carattere burlone, fu anche chiamato il "Santo della gioia" o il "giullare di Dio".

LE MEDAGLIETTE





















L’iconografia pone al centro S. Isidoro con l’inconfondibile rastrello e S. Teresa alla sua destra, S. Filippo Neri alla sua sinistra.

La seconda Medaglietta raffigura la Canonizzazione del 12/04/1671 celebrata da Papa Clemente X di S. Rosa da Lima, S. Filippo Benizi, S. Francesco Borgia, S. Gaetano di Thiene, S. Luigi Bertran.


Luigi Bertrando (in spagnolo Luis Beltrán Valencia, 1º gennaio 1526 – Valencia, 9 ottobre 1581) fu un religioso e missionario spagnolo appartenente all'Ordine domenicano. Svolse il suo apostolato tra gli indigeni dell'America centrale e meridionale. È stato proclamato santo da papa Clemente X (1671).
Biografia
Imparentato con Vincenzo Ferrer, il 26 agosto del 1544 si fece domenicano nel convento di Santo Domingo della sua città: venne ordinato sacerdote nel 1547 dall'arcivescovo Tomás de Villanueva e l'anno successivo venne assegnato al convento di Llombai, dove ricoprì l'ufficio di Maestro dei novizi.
Fu in relazione epistolare con Teresa d'Ávila, di cui incoraggiò il progetto di riforma dell'ordine carmelitano.
Nel 1562 partì come missionario per le Americhe: si dedicò all'evangelizzazione degli indigeni delle isole caraibiche e della colonia spagnola di Nuova Granata (l'attuale Colombia), godendo fama di grande predicatore ed operatore di miracoli.
Rientrò in patria nel 1569, continuando a dedicarsi alle missioni interne. Fu tra i più fidati consiglieri e collaboratori del vescovo di Valencia Juan de Ribera.
Il culto
Venne proclamato beato da papa Paolo V il 19 luglio del 1608 e papa Clemente X lo canonizzò il 12 aprile 1671.[1] Papa Alessandro VIII lo ha dichiarato patrono della Colombia.
Memoria liturgica il 9 ottobre.


Gaetano di Thiene (Vicenza, ottobre 1480 – Napoli, 7 agosto 1547) è stato un sacerdote italiano, cofondatore dell'Ordine dei Chierici Regolari Teatini; nel 1671 è stato proclamato santo da papa Clemente X ed è detto il Santo della Provvidenza.
Biografia
Di origine nobiliare, nacque a Vicenza nel 1480 dal conte Gasparo e da Maria da Porto; gli fu dato il nome di Gaetano in onore di un suo zio, famoso canonico e professore all'Università di Padova, nativo di Gaeta. Perse in giovanissima età il padre, morto nel 1492, e la sua educazione venne curata dalla madre.
Studiò diritto all'Università di Padova e il 17 luglio 1504 conseguì la laurea in utroque iure. Pur essendo iscritto all'albo degli avvocati, Gaetano non esercitò mai tale professione, preferendo indirizzarsi verso lo stato di religioso. Entrò infatti subito nello stato clericale ricevendo la tonsura da Pietro Dandolo, vescovo di Vicenza; il suo desiderio di divenire sacerdote era, però, contrario a quello di sua madre che, avendo già perduto due figli maschi, aveva riposto in lui le speranze di veder proseguire nel tempo la famiglia.
Nel 1505, animato da grande spirito religioso, Gaetano si fece promotore dell'edificazione della chiesa di Santa Maria Maddalena a Rampazzo nella tenuta di famiglia, tuttora esistente.[1]
Nel 1507 si stabilì a Roma, dove prese dimora assieme al futuro cardinale Giovanni Battista Pallavicini, vescovo di Cavaillon, presso la chiesa di San Simeone ai Coronari. Gli furono concessi poi i benefici ecclesiastici delle chiese di Santa Maria di Malo e Santa Maria di Bressanvido. Presso la Curia Romana ricoprì gli incarichi di scrittore delle lettere pontificie e protonotario apostolico ed ebbe un ruolo notevole nel riportare la pace tra la Santa Sede e la Repubblica di Venezia, dopo la guerra della Lega di Cambrai; si guadagnò la stima di papa Giulio II, che in un breve si rivolse a Gaetano come a un "figlio diletto" e "nostro famigliare".
A Roma, Gaetano si iscrisse all'Oratorio del Divino Amore e partecipò attivamente alle riunioni che si tenevano nella chiesa di Santa Dorotea presso l'ospedale di San Giacomo degli Incurabili. Ottenuta una particolare dispensa da papa Leone X, tra il 27 e il 29 settembre 1516 ricevette gli ordini minori e il diaconato; mentre il 30 settembre successivo, in occasione della festa di san Girolamo (patrono del suo casato), venne ordinato sacerdote da Francesco Bertoli, vescovo di Milopotamo, nella cappella privata del presule. Gaetano celebrò la sua prima messa solo nell'Epifania del 1517.
Fece ritorno nella sua nativa Vicenza nel 1519; entrò nella compagnia dei Santi Clemente e Girolamo e ristrutturò l'ospedale della Misericordia, che fece aggregare all'ospedale di San Giacomo; trasferitosi a Verona, si aggregò alla compagnia del Santissimo Corpo di Cristo e fondò un nuovo ospedale degli incurabili.
Tornò a Roma nel 1527; assieme a Gian Pietro Carafa (futuro papa Paolo IV), Bonifacio de' Colli e Paolo Consiglieri, suoi compagni all'Oratorio del Divino Amore, decise di formare una nuova fraternità di sacerdoti con il fine di riformare il clero e di restaurare e applicare una regola primitiva di vita apostolica; papa Clemente VII, con il breve Exponi nobis (24 giugno 1524) permise loro di prendere i voti e condurre vita fraterna in comunità e il 14 settembre successivo, nella basilica di San Pietro, Gaetano e i suoi compagni fecero la loro professione nelle mani del vescovo di Caserta Giovan Battista Boncianni, delegato papale.
Pur non essendo questo il loro proposito, Gaetano e i compagni andarono a costituire un nuovo ordine religioso, il primo degli ordini di chierici regolari sorti durante il periodo della Controriforma; essendo Gian Pietro Carafa vescovo di Chieti (in latino Theate), i membri dell'ordine vennero detti teatini.
Gaetano e i suoi ormai dodici compagni subirono la prigionia durante il sacco di Roma del 1527 nella Torre dell'Orologio in Vaticano da dove riuscirono provvidenzialmente a fuggire per Venezia, stabilendosi presso la chiesa di San Nicola dei Tolentini; il 14 settembre 1527 Gaetano venne eletto preposito generale dell'ordine.
Nel 1533, insieme a Giovanni Marinoni, si recò a Napoli per fondarvi una casa dell'ordine; il viceré Pedro de Toledo, nel 1538, concesse loro la basilica di San Paolo Maggiore. A Napoli Gaetano curò la formazione dei sacerdoti impegnati nel locale ospedale degl'Incurabili; fu correttore della compagnia dei Bianchi; diresse il monastero delle domenicane della Sapienza (fondato da Maria Carafa, sorella di Gian Pietro); guidò Maria Lorenza Longo nella fondazione delle monache Cappuccine; contrastò la diffusione delle dottrine eterodosse introdotte in città da Bernardino Ochino, Pier Martire Vermigli e Juan de Valdés.[5]
Tra il 1540 e il 1543 fu preposito della comunità teatina di Venezia, poi tornò a Napoli, dove si spense nel 1547.
Il culto
Le procedure canoniche per la beatificazione di Gaetano di Thiene vennero avviate agli inizi del XVII secolo e si conclusero ad opera di papa Urbano VIII, che lo elevò all'onore degli altari l'8 ottobre 1629.
Venne proclamato santo, con decreto del 12 novembre 1670, da papa Clemente X il 12 aprile 1671. Nella stessa cerimonia vennero proclamati santi anche Rosa da Lima, Luigi Bertrando, Francesco Borgia e Filippo Benizi.
La sua memoria liturgica è fissata al 7 agosto e nel 1673 la sua festa venne estesa alla Chiesa universale.
È invocato come il "Santo della Provvidenza". In occasione del IV centenario della sua nascita papa Pio XII sintetizzò la sua spiritualità definendolo «...acceso apostolo del divino Amore e campione insigne dell'umana carità».
È patrono e titolare delle congregazioni delle Povere Figlie di San Gaetano,delle Suore della Provvidenza di San Gaetano da Thiene] e della Pia Società di San Gaetano.


Francesco Borgia, in spagnolo Francisco de Borja y Aragón (Gandia, 28 ottobre 1510 – Roma, 30 settembre 1572), fu il IV duca di Gandia e ricoprì la carica di viceré di Catalogna. Rimasto vedovo, entrò nella Compagnia di Gesù e divenne sacerdote: nel 1565 fu eletto preposito generale dell'ordine. È stato proclamato santo da papa Clemente X nel 1670.
Biografia
Nacque nella famosa famiglia Borgia di origini spagnole Suo padre era Juan de Borja y Enriquez e suo nonno paterno, Giovanni Borgia, secondo duca di Gandia, era uno dei figli di papa Alessandro VI; il nonno materno era l'arcivescovo di Saragozza Alfonso, figlio naturale del re Ferdinando II di Aragona. Crebbe a Saragozza e all'età di dodici anni fu inviato come paggio a Tordesillas; qui assisteva la regina Giovanna la Pazza, che, dopo la scomparsa del marito, si era ivi ritirata insieme alla figlia, l'infanta Caterina. Dal 1528 fu a Valladolid presso Carlo V: entrò presto nelle grazie dell'imperatrice Isabella, che lo nominò marchese di Lombay e lo fece sposare con Eleonora de Castro, da cui ebbe otto figli. Egli seguì l'imperatore in numerosi viaggi; nel 1535 fu in Tunisia, poi in Provenza.
Nel maggio 1538 l'imperatrice Isabella morì ed egli fu profondamente colpito dall'orazione pronunciata da san Giovanni d'Avila durante la funzione funebre. Da quel momento principiò un cammino di maggiore accostamento alla fede cattolica e alla vita evangelica; cominciò a dedicarsi allo studio della teologia, ottenendo il dottorato. Il 26 giugno 1539 fu nominato viceré di Catalogna. Nel 1546 sua moglie morì, ed egli si pose sotto la direzione spirituale dei padri gesuiti. Il 1º febbraio 1548 emise i voti solenni ed entrò nella Compagnia di Gesù, ma ottenne una particolare dispensa per restare nel secolo fino a quando non avesse assolto i suoi doveri di genitore.
Il 23 ottobre 1550 raggiunse Roma, dove venne ordinato sacerdote e divenne uno dei principali collaboratori di sant'Ignazio di Loyola. Contribuì con una grande somma di denaro all'istituzione del "Collegio romano", l'attuale Università Gregoriana, e fu incaricato di controllare la diffusione dell'Ordine nella penisola Iberica. Il 10 giugno 1554 fu nominato "Commissario generale" in Spagna. Rifiutò la nomina a cardinale proposta prima da papa Giulio III e poi da Pio IV, Pio V e infine Gregorio XIII. Nel 1565 fondò le missioni gesuite in Perù e in Florida. Fu anche nominato esecutore testamentario di Carlo V. Richiamato da Pio IV, nel 1561 tornò a Roma, dove strinse amicizia con i cardinali Michele Ghislieri e Carlo Borromeo e, il 20 gennaio 1565, venne nominato "Vicario Generale" della Compagnia.
Il 2 luglio 1565 venne eletto "Preposito Generale" della Compagnia di Gesù, succedendo a Diego Laínez. Diede un grande impulso all'attività missionaria dell'Ordine in India, Brasile e Giappone. Per quanto riguarda la formazione spirituale e intellettuale dei giovani religiosi, emanò nuove regole sui costumi e gli studi dei novizi, per loro fece costruire la "Casa" e la Chiesa di Sant'Andrea al Quirinale. Sotto il pontificato di Pio V fu incaricato di assistere il "Cardinal Nepote" Michele Bonelli nelle sue missioni diplomatiche, ma questi viaggi furono fatali per la sua salute cagionevole: morì a Roma nel 1572.
Il culto
Papa Urbano VIII lo proclamò beato il 23 novembre 1624 essendo verificatasi la guarigione della nipote del duca di Lerma dopo che fu richiesta la sua esplicita intercessione. Il 20 giugno 1671 fu canonizzato da Clemente X.
La sua memoria liturgica cade il 30 settembre.


Rosa di Santa Maria, al secolo Isabel Flores de Oliva (Lima, 20 aprile 1586 – Lima, 24 agosto 1617), è stata una religiosa peruviana del terz'ordine domenicano: è stata canonizzata nel 1671 da papa Clemente X.
Biografia
Nacque a Lima il 20 aprile 1586 da una nobile famiglia di origine spagnola, decima di tredici figli, e fu battezzata con il nome di Isabella.
I suoi numerosi agiografi (esistono circa 400 agiografie su di lei), raccontano che a tre mesi dalla nascita la sua culla sarebbe stata circondata da rose. Il giorno della Cresima l'arcivescovo Toribio di Mogrovejo (pure venerato come santo) la chiamò Rosa.
Fin da piccola aspirava alla vita religiosa, il suo modello era santa Caterina da Siena, a vent'anni vestì l’abito delle Suore del Terz’Ordine regolare dei Predicatori.
Le fu concesso, nella casa materna, situata nel centro di Lima, una stanza per assistere i bisognosi, specialmente di origine india.
Dal 1609 si ritirò in un'angusta cella, ubicata nel giardino di casa, fredda d'inverno e afosa d'estate, assediata dalle zanzare, per meglio pregare in unione con il Signore.
Alla preghiera si alternavano autoflagellazioni, veglie e digiuni, mentre la sua vita ascetica era costellata di visioni, grazie ma anche vessazioni diaboliche.
Nel 1614 si trasferì nell'abitazione della nobile Maria de Ezategui, dove morì tre anni dopo, all'età di trentuno anni, il 24 agosto 1617, consumata dalle penitenze, offerte per la salvezza dei peccatori e per la conversione delle popolazioni indigene. Il suo corpo è conservato a Lima nella Basilica Domenicana del Santo Rosario.
Beatificata nel 1668 da papa Clemente IX, canonizzata nel 1671 da papa Clemente X, è stata la prima dei santi americani ed è la patrona del Perù, del Nuovo Mondo e delle Filippine. È invocata in caso di ferite, inoltre contro le eruzioni vulcaniche e anche in caso di litigi familiari.
La commemorazione liturgica ricorre il 23 agosto (il 30 agosto secondo il calendario tradizionale per la messa c.d. tridentina).


Filippo Benizi, o Benizzi (Firenze, 15 agosto 1233 – Todi, 23 agosto 1285), è stato un religioso e presbitero italiano dell'Ordine dei Servi di Maria (OSM), di cui venne eletto Superiore generale (1267); papa Clemente X lo ha proclamato santo nel 1671.
Biografia
Di nobile famiglia fiorentina, nacque nel quartiere d'Oltrarno, figlio di Giacomo Benizi e di Albaverde Frescobaldi. Studiò filosofia e medicina presso le Università di Parigi e di Padova, dove si laureò nel 1253. Entrò nel 1254 come fratello laico nell'Ordine dei Servi di Maria presso il convento di Monte Senario e prese poi i voti. Venne ordinato sacerdote a Siena nel 1258 e assunse diversi incarichi di responsabilità nell'Ordine e la direzione di vari conventi. Il 5 giugno 1267 venne eletto Priore generale dell'ordine Servita, di cui riformò gli statuti rendendolo definitivamente un ordine mendicante: collaborò con santa Giuliana Falconieri alla fondazione del terz'ordine femminile delle oblate servite (Mantellate), da cui ebbe poi origine il ramo femminile dell'ordine. Per sua opera, l'ordine ebbe rapida diffusione, soprattutto in Italia e Francia.
Nel 1269, durante il lungo conclave tenuto a Viterbo per eleggere il successore di papa Clemente IV, il suo nome circolò tra quelli dei papabili: giudicandosi indegno di tale onore, Filippo Benizi si sottrasse all'elezione rifugiandosi in una grotta che oggi porta il suo nome a Bagni San Filippo sul Monte Amiata.
Nel 1274 intervenne al II Concilio di Lione che, in esecuzione di uno dei decreti del Concilio Lateranense IV che proibiva la fondazione di nuovi ordini, soppresse tutti gli ordini mendicanti non ancora approvati dalla Santa Sede: grazie alla sua insistenza, l'Ordine venne ristabilito da papa Giovanni XXI.
Fu incaricato da papa Martino IV di predicare in varie città d'Italia la pace tra le fazioni guelfa e ghibellina, i cui scontri stavano insanguinando varie città: durante una delle sue missioni, ebbe modo a Forlì di convertire Pellegrino Laziosi, tra i capi di una delle fazioni in lotta, che in seguito all'incontro decise di entrare tra i serviti, divenendone poi il santo più venerato].
Secondo la sua Legenda Vulgata morì il 23 agosto 1285 nel convento dei Servi di Maria di San Marco in Todi. Le sue spoglie, riesumate verso il 10 giugno 1317, vennero poi trasferite nella chiesa di San Filippo di Todi, dove ancora oggi si trovano le sue reliquie.
Secondo la Catholic Encyclopedia, nel 1319 a Vicenza nel chiostro di Santa Maria dei Servi avvennero dei miracoli legati al santo.
Culto
Il culto di San Filippo Benizi iniziò presso il suo ordine subito dopo la sua morte: il culto del beato venne approvato da papa Leone X nel 1516; papa Clemente X procedette alla sua canonizzazione il 12 aprile 1671. Fu il primo servita ad essere innalzato all'onore degli altari.
La sua memoria liturgica ricorre il 23 agosto (presso i Servi di Maria il 23 agosto). In questo giorno, principalmente nella Basilica della Santissima Annunziata di Firenze e nella Chiesa di San Filippo di Todi, come in tutte le comunità dell'Ordine dei Servi di Maria, si svolge la tradizionale benedizione dell'acqua e del pane che viene distribuito ai fedeli.

LE MEDAGLIETTE















Nell’iconografia della medaglietta si riconosce S. Rosa alla sinistra della medaglietta, S. Filippo Benizi alla destra con la Croce in mano.


La terza raffigura la Canonizzazione del 16/10/ 1690 celebrata da Papa Alessandro VIII di S. Giovanni di Dio, S. Pasquale Baylon, S. Giovanni da Capestrano, S. Lorenzo Giustiniani, S. Giovanni Sahagun.



Lorenzo Giustiniani (Venezia, 1º luglio 1381 – Venezia, 8 gennaio 1456) è stato un patriarca cattolico italiano, il primo a portare il titolo di patriarca di Venezia; nel 1690 è stato proclamato santo da papa Alessandro VIII.
Di nobile nascita, nel 1404 fondò insieme ad altri due aristocratici veneziani, Antonio Correr e Gabriele Condulmer (poi eletto papa col nome di Eugenio IV), la congregazione dei Canonici di San Giorgio in Alga (C.R.S.G.A.), di cui fu anche eletto priore e poi generale (1424).
Dopo la sua elezione al soglio di Pietro, nel 1433 Eugenio IV lo nominò vescovo di Castello, la diocesi dell'isola di Rialto: quando papa Niccolò V, nel 1451, decretò il trasferimento della dignità patriarcale da Grado alla sede di Venezia, Lorenzo Giustiniani venne designato quale primo patriarca della città veneta. Ricoprì tale carica fino alla morte, nel 1456.


Giovanni da Capestrano (Capestrano, 24 giugno 1386 – Ilok, 23 ottobre 1456) è stato un religioso italiano dell'Ordine dei Frati Minori Osservanti; fu proclamato santo da papa Alessandro VIII nel 1690.
Era figlio di un barone tedesco[1] e di una giovane dama abruzzese. Fu un sacerdote del quale si ricorda l'intensa attività evangelizzatrice nella prima metà del XV secolo.
Studiò a Perugia dove si laureò in utroque iure. Divenuto uno stimato giurista, fu nominato governatore della città. Fu imprigionato quando la città fu occupata dai Malatesta.
In carcere ebbe luogo la sua conversione. Una volta libero, fece annullare il suo matrimonio e prese i voti nel convento francescano di Assisi.
Da sacerdote condusse la sua attività apostolica in tutta l'Europa settentrionale ed orientale, in particolare in Ungheria orientale cioè in Transilvania, dove era consigliere del governatore Giovanni Hunyadi nel Castello di Hunyad.
La sua predicazione era volta al rinnovamento dei costumi cristiani ed a combattere l'eresia e l'usura praticata dalla maggior parte degli ebrei. Estremamente zelante nei suoi tentativi di convertire eretici (in particolare fraticelli ed hussiti) ed ebrei[2][3] e ortodossi greco orientali in Transilvania.
Il 17 febbraio 1427 nella chiesa di San Tommaso di Ortona (Chieti) è stata solennemente proclamata la pace tra le città di Lanciano e Ortona patrocinata da San Giovanni da Capestrano.
Nel 1456 fu incaricato dal Papa, insieme ad alcuni altri frati, di predicare la Crociata contro l'Impero Ottomano che aveva invaso la penisola balcanica. Percorrendo l'Europa orientale, il Capestrano riuscì a raccogliere decine di migliaia di volontari, alla cui testa partecipò all'assedio di Belgrado nel luglio di quell'anno. Egli incitò i suoi uomini all'assalto decisivo con le parole di san Paolo: «Colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento». L'esercito turco fu messo in fuga e lo stesso sultano Maometto II venne ferito.
Il suo culto come beato fu confermato il 19 dicembre 1650; fu canonizzato il 16 ottobre 1690 da papa Alessandro VIII.


Giovanni di Dio, al secolo Juan Ciudad (Montemor-o-Novo, 8 marzo 1495 – Granada, 8 marzo 1550), è stato un religioso spagnolo di origine portoghese, fondatore dell'Ordine Ospedaliero detto dei "Fatebenefratelli". Nel 1690 è stato proclamato santo da papa Alessandro VIII.
All'età di 8 anni, assieme a un chierico si allontanò dalla casa paterna e giunse in Spagna, dove ad Oropesa (Toledo) fu accolto dalla famiglia di Francisco Cid, detto “el Mayoral”.
Ad Oropesa trascorse gran parte della sua vita. Fino a 27 anni Juan si dedicò alla pastorizia poi si arruolò, partecipando come soldato, a due battaglie, una prima a Pavia dalla parte di Carlo V contro Francesco I e successivamente contro i Turchi, a Vienna.
Finita la vita militaresca, finché ebbe soldi vagò per mezza Europa giungendo fino in Africa a fare il bracciante e poi fece il venditore ambulante a Gibilterra. Infine, nel 1537 si stabilì a Granada e aprì una piccola libreria. Avvertiva già una grande vocazione per Gesù nell'assistenza dei poveri e dei malati, ma fu allora che Giovanni mutò radicalmente indirizzo alla propria vita, in seguito a una predica di san Giovanni d'Avila.
Attraversò una grande crisi di fede, distrusse la sua libreria, andò in giro per la città agitandosi e rotolandosi per terra e rivolgendo ai passanti la frase che sarebbe divenuta l'emblema della sua vita:
« Fate (del) bene, fratelli, a voi stessi. »

Considerato pazzo fu rinchiuso nell'Ospedale Reale di Granada, da dove uscì qualche mese dopo rasserenato e intenzionato ad assecondare la sua vocazione religiosa.
Dopo essersi posto sotto la guida di Giovanni d'Avila, si recò in pellegrinaggio al Monastero reale di Santa Maria de Guadalupe e, tornanto a Granada, diede inizio alla sua opera di assistenza ai poveri, malati e bisognosi.
Nonostante le diffidenze iniziali, si unirono a lui altre persone, che si dedicarono completamente all'assistenza ai malati. Il suo modo di chiedere la carità era molto originale, infatti era solito dire: “Fate del bene a voi stessi! Fate bene, fratelli!”.
Fondò il suo primo ospedale, organizzò l'assistenza secondo le esigenze di quelli che considerava i ‘suoi' poveri. L'Arcivescovo di Granada gli cambiò il nome in Giovanni di Dio. Si impegnò anche nei confronti delle prostitute, aiutandole a reinserirsi nella società. Morì l'8 marzo 1550.


Pasquale (Pascual) Baylón Yubero (Torrehermosa, 16 maggio 1540 – Villarreal, 17 maggio 1592) è stato un religioso spagnolo dell'Ordine dei Frati Minori Alcantarini: è stato proclamato santo da papa Alessandro VIII (1690).
Nato il giorno di Pentecoste (in spagnolo Pascua de Pentecostés, da cui il nome di Pasquale) da Martino e Isabella Jubera, in una famiglia di umile condizione, da fanciullo fu garzone di un allevatore di pecore. Manifestò fin da piccolo la sua vocazione spirituale trascorrendo le lunghe ore del pascolo del gregge in meditazione e preghiera. Imparò a leggere da autodidatta esercitandosi sui libri di preghiere.
A diciotto anni chiese l'ammissione al noviziato presso il convento di Santa Maria di Loreto della congregazione dei Frati Minori aderenti alla riforma di san Pietro d'Alcantara, ma riuscì ad esserne ammesso solo due anni dopo. Nel frattempo, lavorando presso il ricco allevatore Martino Garcia, che lo aveva preso a ben volere, rifiutò l'offerta di quest'ultimo di divenire suo erede.
Il 2 febbraio 1564 fece la professione solenne di fede come frate converso. Fu per anni addetto al servizio di portineria, anche nei conventi di Játiva e Valenza.
L'eucarestia fu il centro della sua vita spirituale. Pur essendo illetterato, seppe difendere coraggiosamente la sua fede, soprattutto riguardo l'eucarestia, rischiando anche la vita durante un difficile viaggio che, nel 1576, fu incaricato di compiere fino a Parigi, attraversando la Francia calvinista dell'epoca.
Dopo il viaggio Pasquale scrisse una raccolta di sentenze per comprovare la reale presenza di Gesù nell'eucarestia ed il potere divino trasmesso al papa.
Morì all'età di 52 anni, il giorno di Pentecoste, nel convento del Rosario a Villarreal, anche a causa delle frequenti mortificazioni corporali alle quali si sottoponeva.


San Giovanni da Sahagún, sacerdote
Giovanni, nacque da una nobile famiglia di Sahagun, nella regione di Leon, in Spagna, verso il 1430. Per la sua indole profondamente religiosa, passò al servizio dell’ottimo vescovo di Burgos, Alfonso di Cartagena, che lo ordinò sacerdote. Insoddisfatto della vita di curia e neanche allettato dalla promessa di un canonicato, lasciò Burgos e si trasferì a Salamanca dove si dedicò con impegno allo studio e alla predicazione. Affascinato dalla fama che godeva la comunità agostiniana di quella città, entrò nell’Ordine agostiniano il 18 giugno 1463 ed emise la professione il 28 agosto 1464 con il nome di Giovanni di San Facondo. Profondamente umile e sincero, si impegnò instancabilmente nella predicazione e nella promozione della pace e della convivenza sociale, difendendo strenuamente i diritti dei servi e degli operai. Ebbe una spiccata devozione all’Eucaristia. Morì a Salamanca l’11 giugno 1479 e i suoi resti mortali si venerano nella cattedrale di Salamanca.

LE MEDAGLIETTE








L’iconografia raffigura S. Giovanni da Capestrano con lo Stendardo alla destra della medaglietta e S. Lorenzo Giustiniani in ginocchio al centro, S. Giovanni di Dio con la Croce in mano, S. Giovanni Sahangun dietro con il Calice in Mano, e davanti sulla sinistra della medaglietta S. Pasquale Baylon.

Edited by DttorJones - 9/9/2015, 16:23
 
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view post Posted on 24/2/2015, 12:39     +1   -1
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GURKHA

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Gran bel lavoro....GRAZIE!!!!!
 
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cristiano

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Grazie Jones per il contributo che dai sempre al forum harp , quando lo vede Cesira mi sa che finisce nelle discussioni importanti :D
 
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view post Posted on 26/2/2015, 16:18     +1   -1
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Grazie per questo post interessante.
 
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metalla quaeramus cum sonantis instrumentum

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Grazie Doc,
pregevole contributo è sempre un piacere seguire questi tuoi approfondimenti
 
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Molto gentili, ma sono io che devo ringraziare voi che condividete le medagliette postandole, è la base di tutto.
 
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view post Posted on 26/2/2015, 23:00     +1   -1
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Splendido lavoro di approfondimento, grazie!!
Segnalo come importante! ;)
 
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elv66
view post Posted on 2/3/2015, 11:10     +1   -1




davvero tanto di cappello, per la cultura in materia e l'esplicazione. Grazie per renderci più ricchi di conoscenza
 
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view post Posted on 1/2/2016, 21:59     +1   -1
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Inserisco anche la mia già postata l'altro giorno con S.Ignazio di Loyola e S.Francesco Saverio.
 
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Paolo Piccardi
view post Posted on 17/12/2019, 19:37     +1   -1




Complimenti per la bella e approfondita ricerca. A proposito di S. Filippo Benizi e il suo rifiuto di diventare papa, ecco la foto della statua del Boncinelli, su disegno di Carlo Dolci, che lo ritrae con la tiara accanto, ma in questo spazio non sembra essere consentito.

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S. Filippo Benizi

 
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view post Posted on 16/1/2020, 18:02     +1   -1
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CITAZIONE (Paolo Piccardi @ 17/12/2019, 19:37) 
Complimenti per la bella e approfondita ricerca. A proposito di S. Filippo Benizi e il suo rifiuto di diventare papa, ecco la foto della statua del Boncinelli, su disegno di Carlo Dolci, che lo ritrae con la tiara accanto, ma in questo spazio non sembra essere consentito.

Per partecipare al forum dovresti presentarti nella sezione saluti, grazie. :)
 
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